Il Libano è come una polveriera tra tensioni, rivalità e instabilità che caratterizzano da sempre la storia del Paese. Qui da decenni l’Onu ha creato, grazie ad una missione internazionale specifica, un modello operativo che punta a garantire l’equilibrio necessario per una convivenza pacifica tra le varie etnie. Gli analisti inoltre guardano con rinnovato interesse al paese dei cedri perchè la vicinanza con la Siria, la crescita dell’Isis, il conflitto strisciante tra sunniti e sciti che coinvolge Hezbollah e le influenze esterne, hanno trasformato il Libano in una sorta di laboratorio politico-militare dove attuare e perfezionare nuove strategie. Stefano Del Col è il comandante della Brigata Pinerolo, la grande unità dell’Esercito italiano made in Puglia.
Da novembre un migliaio di militari, inseriti nella missione Unifil, garantisce il rispetto degli accordi internazionali. Il contingente tricolore resterà in Libano per sei mesi.
Generale, al posto dell’abete di Natale il cedro del Libano. Che festività sono state queste per il contingente della Brigata Pinerolo?
«Il contingente italiano in Libano è costituito prevalentemente dalla Brigata Pinerolo, circa 1.000 uomini e donne, tra i quali, quasi la metà, pugliesi. All’interno della famiglia militare a Shama dove è dislocato il comando multinazionale del settore Ovest dell’area d’operazione di Unifil (United nations interim force in Lebanon) sotto il mio Comando e con la partecipazione di 11 paesi per un totale di 3.500 soldti, la tradizione condita con qualche innovazione, ha costituito il filo conduttore del Natale e del Capodanno per coloro che erano liberi dalle attività operative. Abbiamo avuto la fortuna di ospitare alcuni musicisti del Conservatorio Santa Cecilia in Roma. Splendida occasione nel corso della vigilia di Natale per sentirsi a casa con la musica italiana. Dopo la santa messa officiata dal nostro cappellano militare, la innovazione è stata garantita dal contingente finlandese che ci ha fatto vivere Santa Klaus con la partecipazione di alcuni di loro vestiti con il tradizionale abito per vivere l’atmosfera del Nord Europa in terra libanese. Abbiamo mantenuto anche la tradizione del cenone di fine anno con alcuni piatti pugliesi e gli auguri da parte dei comandanti a chi era impegnato sulle posizioni presidiate della Blue Line ai confini con Israele».
L’equilibrio del Libano è sempre precario tra diciotto gruppi e confessioni religiose. Oltre un milione e mezzo di profughi siriani si sono riversati tra Beirut e Tripoli su una popolazione di poco meno di quattro milioni. Sembra un film già visto, quello dei campi profughi palestinesi che portarono alla lunga guerra civile. Quanto è stabile il Libano oggi?
«Riferendomi al settore Ovest, nel Sud del Libano, di cui ho la responsabilità, permane stabile grazie alla presenza di Unifil, in un clima di instabilità regionale per gli eventi che hanno caratterizzato il Libano a nord e nella parte orientale. Gli interventi di destabilizzazione del Paese sono affrontati dalle Forze armate libanesi (Laf) allo scopo di scongiurare infiltrazioni di cellule terroristiche. Per quanto concerne i profughi siriani essi rappresentano una conseguenza della situazione nel Paese di origine. I dati dell’Unhcr riportano circa un milione in tutto il Paese e 40mila profughi nella mia area di responsabilità su circa 55mila di tutta l’area di Unifil. Per evitare problemi e disciplinare gli spostamenti sul territorio, i sindaci di alcune municipalità hanno posto delle restrizioni al movimento nell’orario notturno. Per quanto concerne le attività di prevenzione, sulla base delle direttive del comandante dei Unifil, generale Portolano, sono state intensificate le attività operative sul territorio interagendo positivamente con la popolazione locale a garanzia di un maggiore controllo».
L’esercito è forse l’unica istituzione libanese, interconfessionale ed unitaria, amata e considerata da tutti i settori della popolazione; un sondaggio ha mostrato che il 70 per cento dei libanesi apprezza i soldati in uniforme mentre bassissimo è il consenso verso la classe politica. L’esercito è una risorsa o un problema per il Paese? «Le Laf hanno la responsabilità primaria per garantire la sicurezza del Paese ed attualmente sono concentrate a Nord del Libano e sulla valle della Bekaa, da dove provengono i rischi maggiori e si sono distinte con valore per contrastare i terroristi. Per questo sono apprezzati, le Laf necessitano però di un sostegno esterno che è oggetto di progetto “ad hoc” quale l’International support group. Per quanto riguarda Unifil nel sud del Libano, la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu 1701 dell’11 agosto 2006, assegna anche il compito dell’assistenza e il supporto alle Laf per incrementare l’addestramento, la formazione e la cooperazione».
Dal vostro osservatorio si ha la sensazione che la comunità internazionale segua con interesse il futuro del Libano o che, al contrario, il paese dei cedri sia stato dimenticato? «Lo sforzo che il governo locale sta compiendo è enorme. Non dimentichiamo la realtà composita che caratterizza il Medio Oriente e il trentennio di guerre che il Libano ha attraversato. Il Libano è un ago della bilancia per l’equilibrio della regione mediorientale e come ho detto le Laf ne sono l’elemento di coesione. Da come ho constatato, molti Paesi operano nell’ambito dei progetti civili militari per lo sviluppo del benessere della popolazione e dell’economia e mi sembra un segnale importante». Nel Libano l’Isis soffia sul fuoco e prova a far saltare il fragile equilibrio politico-militare combattendo contro Hezbollah. Ancora una volta sciiti contro sunniti. Con quali risultati sul campo? «Il fenomeno Isis non è certo confinato quale minaccia a questo Paese. Vista la contiguità geografica della Siria con il Libano, non è da escludere che anche il Sud possa essere coinvolto, ma attualmente non ho nessuna indicazione che ci siano elementi o cellule che possano minacciare la stabilità del mio settore di responsabilità. Questo non ci fa abbassare la “guardia” e manteniamo sempre alta l’attenzione in senso preventivo».
Qual è la percezione di Unifil dai parte dei libanesi? Si fidano i libanesi dei baschi blu? E degli italiani? «La trasformazione in senso positivo della situazione in Libano dal 2006 ad oggi è evidente. Molto deve essere fatto, ma questa attualmente è l’area più stabile del Medio Oriente. I nostri peacekeepers operano in totale trasparenza e imparzialità con la consueta professionalità. I caschi blu italiani hanno dimostrato e dimostrano, anche in questo teatro operativo, una grande sintonia con gli altri contingenti applicando un modello operativo di successo che ha conquistato la fiducia delle autorità e della gente».
Ci racconta una giornata tipo del contingente italiano? «Le attività sono scandite dalle prioritarie esigenze operative derivanti dall’assolvimento dei compiti previsti dalla risoluzione 1701. Tali attività vengono supportate dalla logistica e dirette dall’esercizio del comando e controllo dei comandanti, che a tutti i livelli hanno la responsabilità del contatto e del dialogo con i militari, la popolazione locale, rispettando usi e costumi. Operiamo usando uno slang militare 24/7 cioè 24 ore al giorno su 7 giorni la settimana garantendo adeguati turni di riposo al personale che è libero di poter frequentare le palestre presenti nelle basi oppure frequentare dei bar/ristoranti gestiti da ditte esterne. Non abbiamo via Sparano o via Dante come a Bari, ma replichiamo su scala operativa” l’Italia e la Puglia».
Ogni generale lascia una sua impronta nell’azione di comando. Qual è la sua? «La qualità è costituita da virtù personali, deriva dall’impegno, dalla correttezza, dall’entusiasmo, dalla passione e dall’interesse che gli uomini e donne del contingente italiano ripongono sul dioturno lavoro. La mia azione basata sull’esempio non si accontenta dell’oggi ma è indirizzata ad esaltare le qualità personali e professionali dei miei soldati».
Italiani, brava gente. E’ ancora così? «L’impegno italiano è consistente e delicato, siamo determinati e risoluti e i nostri militari consapevoli del compito assegnato e del ruolo, attenendosi rigorosamente al mandato dell’Onu contribuiamo alla garanzia della stabilità e della sicurezza dell’Area. Riceviamo costantemente espressioni di gratitudine a tutti i livelli, peraltro il fatto che per la terza volta il comandante di Unifil sia italiano è una attestazione del nostro lavoro. Siamo una risorsa per il Paese».
La Brigata Pinerolo è formata per la maggior parte da militari pugliesi. La nostra regione, a livello istituzionale, si è ricordata di voi o siete diventati invisibili? «L’occasione di renderci “visibili” che ci è stata concessa attraverso il collegamento in videoconferenza la serata dell’11 dicembre, in occasione del concerto di Natale svoltosi all’auditorium della Guardia di Finanza di Bari, è stata sicuramente un momento di vicinanza con la terra di Puglia. Inoltre, mantengo cordiali rapporti con le autorità quali l’occasione delle attuali festività per scambiarci gli auguri».
L’autorevolezza del nostro contingente è un concetto astratto o si tocca con mano? In che modo? «I nostri peacekeepers hanno partecipato ad altre missioni e sono dei professionisti. Cerchiamo di essere rappresentanti delle istituzioni che sanno infondere passione e coraggio soprattutto per impegno personale e impiego delle risorse che il Paese ci affida. Ritengo che ci stiamo riuscendo e i risultati si vedono per il riscontro positivo dei rappresentati delle Istituzioni con i quali mi riferisco, siano essi leaders religioni, autorità militari ovvero autorità civili».
L’imprevedibilità in Libano può essere un prezioso alleato o un acerrimo nemico? «Unifil è una missione che costituisce un vero esempio, a livello di Onu. La situazione è delicata e poniamo particolare attenzione al caporale strategico cioè il leader del team, giovane soldato che con il suo comportamento può avere conseguenze gravissime».
Qual è, secondo lei, l’immagine migliore che possa racchiudere lo spirito di questa missione? «Noi siamo peacekeepers, Unifil è una missione unica che riesce a mantenere stabile un’area del mondo che per decenni è stata turbolenta. La nostra forza è l’imparzialità e professionalità, e con questi elementi che abbiamo conquistato la fiducia della popolazione e i favorevoli risultati operativi».
Cosa si aspetta dai pugliesi? «L’attenzione che pongono nel rispetto verso la popolazione locale. Unifil non è una agenzia umanitaria o di sviluppo però ci sono molti aspetti che derivano dalla natura iniziale della missione stessa nata nel 1978 e ci sono adempimenti verso la popolazione locale derivanti dalla risoluzione 1701. Svolgiamo attività mediche, veterinarie e di assistenza e non ultime insegniamo l’italiano. I Militari pugliesi incarnano capacità operative e di dialogo con la popolazione locale che sottendono una straordinaria efficacia e professionalità».
Un desiderio per il nuovo anno? «Di consolidare i positivi risultati raggiunti nel 2014 e aderenti al motto della Brigata Pinerolo: “..sempre più avanti, sempre più in alto..” di migliorarli ancora».